Giovanni Mancini è estroso, profondamente emotivo, di notevole capacità dialettica, imprevedibile. E’ scultore e pittore insieme, anche se le sue grafiche si interpretano solo in chiave scultorea.
Ad una rapida osservazione delle sue opere si scopre con immediatezza che non ha nulla di composito o di artificioso. E’ invece calibrato e in ogni caso sempre ben dimensionato, così da non cedere mai al retorico o alla facile ampollosità, che frustra l’impegno di chi, sul piano della creatività, intende dar prova del suo non comune talento.
Ne deriva un’armonia di spontaneità e di autenticità che lumeggia la personalità di Mancini, che mentre sembra dovesse emergere da questa o da quell’altra opera, è tutta delineata dal meraviglioso affresco della sua pluriforme espressione, per quanto attiene all’area dell’arte.
Come non rimanere stupiti davanti a quelle sculture che Mancini ha voluto produrre in uno stato di particolare lirismo, che indelebile permane, visivamente materializzato, perché si storicizzasse e divenisse sorgente di ulteriore ispirazione?
Eguale stupore desta la sua capacità di analizzare nelle sue opere momenti inquieti della realtà sociale, ravvisandone nelle istanze la prevalente corporeità sui valori dello spirito.
E se la scultura si fa espressione grafica allora la densità del colore e il vorticoso segmentato discontinuo e dinamico ci significano l’angoscioso intimo travaglio dell’artista esplodente dal suo impenetrabile mondo in motivi che animano di riflesso l’esistenzialità del dramma che vive.
Freschezza e originalità Mancini evidenzia nella policromia, ma quando usa dell’elemento monocromatico, è certamente più personalizzato e calligrafico.
Si può dire anzi che risulta molto vivace il suo anelito di ricerca.
Fausto Carlesimo